Faccio fatica a formulare un parere defintivo su questo libro, e questo per i pensieri contrastanti che mi sono venuti durante la lettura. Da un lato, nella prima parte del libro, mi sono anche divertito a leggerlo, poi pian piano il divertimento si è trasformato in fastidio, fino a lasciarmi, al termine, piuttosto perplesso.
Infatti se per un po’ il racconto del protagonista, maggiordomo inglese «tutto d’un pezzo» al lavoro da decenni in una importante casa nobiliare, è stato sia interessante che in qualche misura divertente per il modo in cui incarnava lo stereotipo del gentiluomo inglese, alla lunga questo stesso calco su uno stereotipo ha reso tutto quanto troppo finto, poco credibile ed ha reso difficile immedesimarsi con il protagonista.
Poi è chiaro che tutto il libro sia una allegoria: racconta di una persona così presa dal suo lavoro da risultare falsa ed anafettiva, che pian piano riesce ad avere un primo barlume di coscienza del suo vero essere e di cosa sia provare un affetto (ad Ishiguro sembrano piacere le allegorie, almeno basandomi sui soli due libri che ho letto suoi, l’altro è Il gigante sepolto che mi è piaciuto molto di più). Però per quello che mi riguarda il risultato, più che commuovermi, è stato quello di farmi provare frustrazione e fastidio durante buona parte del libro.
Bella la traduzione, che ha saputo rendere bene l’eloquenza ampollosa e demodé con cui il protagonista ci parla.
[Einaudi · 271 pagine · isbn 9788806229900]