Domenico Lopresti, il protagonista di questo romanzo, ci racconta in prima persona la sua partecipazione attiva al Risorgimento italiano. Dai moti contro il regno borbonico, che gli farà passare lunghi anni nelle terribili carceri del Regno delle Due Sicilie, poi nelle spedizioni garibaldine, infine come una specie di esule politico a Torino. Di incrollabile fede repubblicana, vive con dolore e rabbia il fatto che l’unificazione d’Italia non porti alla nascita di una repubblica, ma rimanga invece sotto il giogo di un re, diverso, ma per molti versi uguali all’odiato Borbone.
È proprio questa rabbia il filo conduttore di tutto il romanzo. Domenico ci racconta la sua vita in un lungo flashback che si dipana durante i suoi ultimi giorni, e quello che unisce tutte le vicende della sua esistenza è appunto la rabbia, la disillusione e l’amarezza per la distruzione di tanti ideali. È una rabbia che non si concentra soltanto sugli altri, ma anche e soprattutto contro se stesso: non c’è piccolo errore o debolezza che non si rimproveri e su cui non si prenda del tempo per un’analisi completa e spietata.
Lo stile di scrittura usato dall’autrice, Anna Banti (pseudonimo di Lucia Lopresti), si adatta molto bene a mio parere a questo scopo. La prosa è molto densa: le frasi sono secche e definitive come le elucubrazioni ed i giudizi del protagonista. Il tutto si concretizza in un racconto del risorgimento da un punto di vista scevro di ogni propaganda od esaltazione, che ne mette in risalto gli aspetti contraddittori o tragici, nella povertà materiale ed ideale di tanti italiani. Una variante del famoso «fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani».
[Mondadori · 344 pagine · isbn 9788804603849]